I fiorentini e quella volontà corale di ungere il filo della speranza
10 Aprile 2020La Primavera di Botticelli, una delle opere più famose e rappresentative del Rinascimento italiano, dopo circa 542 anni di storia, è tuttora avvolta nel mistero e per questo intrisa di un fascino senza tempo.Origine e committente di questo capolavoro infatti, sono ancora ignoti, mentre molteplici sono le chiavi di lettura con cui storici e critici d’arte si sono avvicendati nel tentativo di decifrare questa meravigliosa e criptica allegoria.
L’opera si presta ad essere letta essenzialmente su 3 livelli: mitologico, filosofico e storico, ma tra questi sarà probabilmente il primo livello a permetterci di ravvisarne la straordinaria attualità in relazione a questo preciso momento storico.
Stando a questa concezione infatti, la scena rappresenta vari momenti della stagione primaverile attraverso 9 figure, di cui 2 si riveleranno quelle chiave.
In particolare, procedendo da destra verso sinistra, possiamo riconoscere Zefiro (il vento della primavera) che rapisce e feconda la ninfa Clori, facendo sì che ella possa rinascere trasformata in Flora, la personificazione cioè della Primavera stessa, raffigurata come una donna dallo splendido abito fiorito.
Al centro di questo momento di rinascita e rigogliosità della Terra si viene a collocare Venere, divinità di Aprile, sulla cui testa vola il figlio Cupido.
Accanto alla dea, danzano ritmicamente le sue 3 tradizionali compagne: Le Grazie.
Sulla sinistra invece, si staglia “un disinteressato” Mercurio, così come lo descrivono i testi di storia dell’arte che, coi suoi tipici calzari alati, scaccia col caduceo le nubi per assicurare e preservare l’arrivo della bella stagione.
Ora, per comprendere a fondo la sua importanza e l’attuale bellezza del messaggio celato nel suo gesto, occorre chiederci di cosa parli la Primavera del Botticelli.
Ebbene quest’opera parla di una Rinascita, perché si tratta appunto di qualcosa che si rigenera ciclicamente come solo le stagioni sanno fare.
In senso lato potremmo definirla un inno alla vita; un’allegoria in cui la Primavera, con la sua veste lussureggiante, simboleggia la vita che torna a trionfare dopo il freddo, brullo e sterile inverno. L’inverno inteso come un momento di morte o di crisi, un periodo difficile in cui latita la speranza.
Per far sì che questa rinascita avvenga è indispensabile, parallelamente alla fioritura a cui dà vita Zefiro con il suo soffio vitale, un ulteriore fattore determinante…il più decisivo probabilmente: è necessario, cioè, dissipare le paure.
Le paure altro non sono se non i postumi, i pensieri e le immagini negative dell’inverno appena trascorso, potenzialmente capaci di inficiare il seme che ci si appresta a coltivare in vista di un nuovo inizio; da qui l’importanza di Mercurio e del suo gesto nello scacciare le ultime nuvole dalla scena.
Nel dipinto è inoltre possibile notare che egli indossa spada ed elmo, come un soldato posto a guardia del giardino in cui avviene questa riunione divina; da qui l’immagine di un Mercurio che non solo catalizza la rinascita, ma ne diventa anche paladino.
Come si diceva all’inizio, molte sono ancora le zone d’ombra e i quesiti irrisolti attorno a questo capolavoro, ma quel che è certo è che l’opera non ha mai lasciato Firenze e verrebbe quasi da pensare che ciò non sia un caso.
Questa città, culla del Rinascimento per antonomasia, nel corso di tutta la sua storia ha conosciuto il vorticoso e spesso doloroso alternarsi di inverni e primavere, di tristi sortite e nuovi inizi, di lacrime e maniche rimboccate all’ombra della cupola o lungo il fiume, ma ne è sempre uscita vincente e piena di nuova linfa.
Resilienza e bellezza in egual misura.
E chissà? Quando verrete a visitare Firenze, forse riuscirete a scorgerlo anche voi, da qualche parte nel paesaggio o nel sorriso della gente, un “disinteressato” Mercurio che scaccia via le ultime nubi col suo caduceo…